NON chiamatemi ARCHITETTA

NON chiamatemi ARCHITETTA

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ATTENZIONE: POSSONO FIRMARE SOLO I PROFESSIONISTI, DONNE E UOMINI, ISCRITTI ALL'ORDINE DEGLI ARCHITETTI.
DI SEGUITO TROVATE LA LETTERA CHE VERRA' INVIATA AL C.N.A. E A TUTTI GLI ORDINI PROVINCIALI.
Promotrici : Comitato Professioniste per la Libera Scelta del Titolo.
PAGINA FACEBOOK: 'NON CHIAMATEMI ARCHITETTA'.
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Rispettabile Presidente, rispettabili Consiglieri e Consigliere,
nell’aprile del 2017 l’Ordine di Bergamo, ha adottato l’utilizzo del timbro “architetta” al fine di consentire un uso non discriminante del titolo professionale, in riferimento alle donne.
Dal 2017 ad oggi numerosi Ordini provinciali sul territorio nazionale (Genova, Milano, Roma, Cagliari, Pescara, Padova, Matera, Enna, Lecce, Monza, Treviso, Udine, Torino, Modena, Prato, Sassari, Caserta, Forlì-Cesena, Firenze, etc), mossi dallo stesso intento dell’Ordine di Bergamo, hanno approvato l’uso del timbro al femminile.
Il 24 febbraio del 2021, l’Ordine di Bari, parimenti ispirato dagli stessi principi d’inclusività e di non discriminazione, ha deliberato testualmente quanto segue:
«Per gli iscritti uomini i titoli da porre nelle comunicazioni sono: Architetto, Paesaggista, Pianificatore, Conservatore, Architetto junior, Pianificatore junior; Per le iscritte donne i titoli da porre nelle comunicazioni sono: Architetta, Paesaggista, Pianificatrice, Conservatrice, Architetta junior, Pianificatrice junior; E’ espressa facoltà di tutti di richiedere, al momento dell’iscrizione all’OAPPC di Bari, la modifica della declinazione di genere del titolo sul timbro e sul tesserino; E’ facoltà di tutte le colleghe e i colleghi già iscritti all’OAPPC di Bari della Provincia di Bari, la modifica a proprie spese della declinazione del titolo sul proprio timbro professionale e sul tesserino di riconoscimento, previa comunicazione alla Segreteria».
Nel marzo 2021, la Delibera promossa dall’Ordine di Bari, veniva in questa maniera annunciata sulla pagina Facebook, dallo stesso Ordine:
«Non solo un nuovo #timbroarchitetta ma molto di piu'!
in sintesi alle neo architette sarà dato di default il timbro architetta, ai neo architetti il timbro architetto. (Opzionale la possibilità di scegliere un genere diverso dal proprio.)
Grazie a tutto il consiglio dell' Ordine Architetti PPC Provincia di Bari per questa scelta importante a favore delle nuove generazioni di professioniste/i.».
Tale disposizione nei fatti genera dunque un automatismo che lega la donna al titolo “architetta” e l’uomo al titolo “architetto”.
Premettiamo che crediamo molto positivo l’approccio espresso dai diversi Ordini, i quali dimostrano di voler adottare soluzioni che promuovono la parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro. Portiamo a conoscenza dei diversi Consigli però, che sull’argomento lessicale esistono diverse correnti di pensiero tra noi professioniste, e non tutte convergono nella credenza che l’utilizzo della parola “architetta”, possa meglio rappresentarci.
E’ nostra convinzione che nel panorama delle nuove parole che declinano le professioni usando il femminile diretto come proposto dalla moderna linguistica al fine di superare la disparità di genere insita nella lingua italiana (ingegnera, avvocata, medica, professora, direttora, etc.) [1], il termine “architetta” costituisca una singolarità, in quanto è spesso oggetto di allusioni piuttosto imbarazzanti dovute a evidenti rimandi ad una sfera intima.
Il termine viene non di rado infatti utilizzato per sminuire e deridere proprio il ruolo della donna che compie il lavoro di fare l’architettura, e di fatto amplifica la disuguaglianza, rivelandosi a tutti gli effetti un vocabolo non utilizzabile ai fini dell’inclusione quanto piuttosto dell’offesa.
Testimoniamo che tali spiacevoli episodi accadono purtroppo frequentemente, come abbiamo potuto registrare anche sui social [2] e malgrado le ottime intenzioni delle colleghe che intendono utilizzarlo.
La questione ha a che fare anche con il sentimento e la suscettibilità di ciascuna di noi, oltre che con la correttezza linguistica, come riassumono bene le parole del Prof. Rosario Coluccia, Accademico della Crusca:
« La questione non è solo linguistica. […] le parole vanno considerate valutando le connotazioni associate a ciascun termine e verificandone la funzionalità a seconda del contesto in cui vengono usate, dei valori che alle stesse attribuiamo, a volte anche senza esserne consapevoli. » [3].
Alcune di noi preferiscono dunque mantenere il titolo “architetto”, perché la parola di derivazione latina (architectus) ma di origine greca ἀρχιτέκτων (arkhitéktōn), nata dall’unione dei due termini ἀρχή (árche) e τέκτων (técton) [4], non solo denota pienamente il senso del nostro lavoro, ma è altresì immediatamente percepita come rappresentativa della nostra professione anche da chi non è edotto del suo etimo, in quanto i due lemmi greci nella loro veste italiana (archi-tetto, archi-tetti) evocano nell’immaginario collettivo, due tra gli elementi più emblematici di una struttura architettonica.
Il termine “architetto” è ormai avvertito da tutti come inclusivo delle donne poiché è l’unico designato a titolarci da ormai un secolo a questa parte. La prima donna architetto italiana infatti si chiamava Elena Luzzato Valentini, si iscrisse nel 1921 alla Regia Scuola Superiore di Architettura di Roma e concluse gli studi nel 1925; cominciò a lavorare subito divenendo una delle pioniere del Razionalismo Italiano.
Altre di noi che desiderano declinare il titolo al femminile, preferiscono invece usare il vocabolo “architettrice” [5], in quanto appare aulico, elevato, illustre, raffinato, persino poetico e soprattutto, non equivocabile. E’ storicamente documentato anche che la specifica declinazione non è affatto un neologismo, e che la sua origine risale addirittura a quattro secoli or sono [6].
La parola “architettrice” riscuote già un certo successo ed è molto accolta e condivisa nel mondo culturale. E' del 2017 un saggio della storica dell’arte Consuelo Lollobrigida intitolato: «Plautilla Bricci. Pictura et Architectura Celebris. L'architettrice del barocco romano», che documenta la vita e le opere di Plautilla Bricci, architettrice vissuta nel 1600 [7].
Nel libro la Lollobrigida riporta la documentazione che attesta che Plautilla usasse firmarsi “Jo Plautilla Briccia Architettrice”.
Nel 2019 è stato inoltre pubblicato un romanzo storico dal titolo “L’Architettrice” edito dalla Einaudi, a firma della famosa scrittrice Melania Mazzucco, già Premio Strega, in cui viene narrata in maniera appunto romanzata, la vita della Bricci [8].
A proposito della correttezza linguistica concernente l’uso del maschile-non-marcato “architetto” per le donne, riportiamo il punto di vista dell’Esimio Professore Claudio Marazzini, Presidente dell’Accademia della Crusca, il quale intervistato nel febbraio di quest’anno, sul caso del Direttore d’Orchestra Beatrice Venezi (la quale dichiarava di non amare il titolo “Direttrice”), ha testualmente riferito [9]:
“Ognuno ha il diritto di essere chiamato come vuole nell’ambito della pluralità degli usi esistenti nella lingua italiana: scegliendo la definizione ‘direttore’ Beatrice Venezi ha adoperato un maschile cosiddetto inclusivo o non marcato. Una soluzione tradizionale, ben nota alla lingua italiana e che viene considerata tuttavia come una bestia nera da taluni, perché a loro giudizio non riconosce o occulta gli avanzamenti del dibattito di genere. Sul piano propriamente lessicale, ricorda Marazzini, Beatrice Venezi aveva tre possibilità per definirsi: “una più tradizionale (direttore) che però taluni accusano di essere ideologicamente arretrata; una declinata al femminile (direttrice) ed una più innovativa (direttora). Ognuno ha quindi il diritto di fare la propria scelta, ma non può pretendere di imporla agli altri in maniera assoluta, né può pretendere che lo faccia qualche istituzione”.
Nella filosofia politica liberale le leggi aspirano a tutelare l’indipendenza, la libertà, i diritti individuali e di ogni gruppo maggioritario o di minoranza. Procedendo secondo questa visuale, riteniamo certamente giusta la concessione del timbro “architetta” alle colleghe che intendono farne uso. Ingiusta invece l’imposizione a tutte le iscritte della stessa declinazione (operata nelle comunicazioni e nelle iscrizioni “di default”), poiché quest’ultima disposizione lede il diritto delle altre professioniste di essere chiamate come esse desiderano.
L’opzione facoltativa predisposta nella Delibera di Bari per le iscrivende, rimarcando la differenza “uomo-donna”, costringe purtroppo ogni nuova iscritta che voglia vedere riconosciuto il proprio titolo di abilitazione alla “professione di architetto” (ad oggi l’unico valido agli effetti di Legge), a tradire il proprio genere chiedendone la modifica secondo il “genere maschile”: accezione questa errata.
Il termine architetto per le donne infatti non è da intendersi come maschile, bensì come maschile-non-marcato, o inclusivo, lo stesso che ci induce a sottintendere che “la comparsa dell’uomo sulla terra” includa anche la donna; lo stesso che comporta che con il plurale “architetti” ci si riferisca a uomini e a donne professionisti e professioniste dell’architettura.
Altrimenti dovremmo meticolosamente specificare faticosamente la differenza in tutte le occasioni, a partire dalla intitolazione stessa degli Ordini che necessariamente diverrebbe: “Ordine degli architetti e delle architette, dei pianificatori e delle pianificatrici, dei paesaggisti e delle paesaggiste, dei conservatori e delle conservatrici”, pena l’esclusione del genere femminile dall’Albo.
Noi riteniamo che adottare politiche realmente inclusive di tutte le donne sia quanto mai lontano dall’imporre loro dall’alto qualcosa. Se desideriamo veramente affrontare la questione con spirito liberale, ognuna di noi dovrebbe esser messa nelle condizioni di poter scegliere il titolo che predilige, e questo è possibile soltanto andando oltre le ideologie femministe radicali che anelano l’imposizione di un nuovo linguaggio, e lasciando a noi tutte la facoltà di poter affermare il nostro ruolo professionale nella maniera in cui ci è più congeniale.
E’ lapalissiano che tutte quante noi donne desideriamo emergere nel nostro lavoro, ma ciascuna di noi ha il diritto di farlo scegliendo i mezzi più adatti a lei, che le consentano di seguire il proprio spirito e la propria filosofia, magari senza sentirsi accusare ad esempio, di aver introiettato il maschilismo, o di avere un atteggiamento “conservatore”, anche perché molte di noi appartengono invece a tutt’altro orientamento politico.
Proprio il movimento femminista negli anni delle lotte per la parità, coniò una magnifica espressione, quella del "diritto all'autodeterminazione" per rivendicare la totale autonomia della gestione del proprio corpo e in generale della propria vita. E’ lo stesso diritto che oggi qui domandiamo: quello di essere libere di decidere su noi stesse, assecondando il nostro proprio carattere, la nostra propria personalità, e il nostro proprio animo.
Non ultimo considerando l'attualità, viene da chiedersi anche quanto possa essere veramente evolutivo, e quindi inclusivo, puntare tutto su un modello linguistico che non fa altro che acuire la differenza.
Ad esempio, le istanze sempre più pressanti da parte di tutti quegli individui che non si riconoscono nel binarismo di genere maschio/femmina, vanno invece in tutt'altra direzione, nel senso cioè dell'adozione del "neutro". Esse trovano fonte d’ispirazione nelle lingue dei paesi nordici, dove non solo queste persone, ma anche le stesse donne trovano una maggiore considerazione. Vengono quindi proposti diversi espedienti, come l’uso dello schwa nelle declinazioni (la e rovesciata “ə”), che alcuni studiosi della lingua italiana sembrano approvare [10].
Alla luce di tutte le considerazioni fatte, pensiamo che il dibattito sulla questione non sia affatto esaurito. Determinate decisioni andrebbero per lo meno condivise con un’ampia rappresentanza di colleghe e colleghi, aprendo una discussione all’interno della nostra comunità professionale che coinvolga, oltre alle singole donne che richiedono di disquisire sulla specifica tematica, anche le diverse realtà associative esistenti, ispirandosi quindi il più possibile ai principi del pluralismo.
Assodato dunque che gli ordini territoriali sono organi democratici, rappresentativi della volontà di tutte le iscritte e gli iscritti e visto il contenuto altamente delicato e divisivo della questione, poiché crediamo nelle pratiche liberali, e non intendiamo con questa nostra imporre il nostro pensiero ad alcuna collega nella maniera più assoluta, chiediamo che la sensibilità di ogni singola iscritta (sia che voglia titolarsi architetto, oppure architettrice, oppure architetta), venga rispettata.
A tale scopo chiediamo infine altresì che :
- vengano modificate le delibere approvate presso i vari ordini nelle parti specifiche che impongono a tutte le iscrivende l’utilizzo di una titolazione di genere “di default”;
- sul timbro e suI tesserino venga utilizzata l’abbreviazione “Arch.” com’è peraltro da sempre in uso presso l’Ordine di Brindisi, sia per gli uomini che per le donne;
- le comunicazioni a tutte le iscritte e agli iscritti avvengano in maniera “neutra”, utilizzando le forme già in uso nella lingua italiana che restituiscono al meglio il senso di comunità piuttosto che quello di separazione, quali ad esempio:
- le consolidate “Collega, Professionista”;
- l’abbreviazione “Arch. Nome Cognome”.
Certe della vostra comprensione, attendiamo un vostro riscontro in merito alla questione e nell’attesa vi porgiamo i nostri più cordiali saluti augurandovi buon lavoro.
COMITATO 'PROFESSIONISTE PER LA LIBERTA' DI SCELTA'
NOTE :
[1] Alma Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 1987, Pagina 116.
[2] Abbiamo registrato degli screenshot di alcuni commenti sessisti che si riferiscono alla parola “architetta” apparsi sul social Facebook, che non esisteremo a consegnare alle autorità giudiziarie qualora si ritenesse opportuno promuovere azioni legali che tutelino la dignità della professione svolta dalle donne.
[3] Rosario Coluccia, Le parole della discriminazione, Articolo pubblicato sul sito dell’Accademia della Crusca. Link alla fonte:
https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/le-parole-della-discriminazione/7400
[4] Giacomo Devoto, Dizionario etimologico.
[5] Le donne architetto e le architettrici suggeriscono un’eccezione alla regola individuata dalla linguista Alma Sabatini (che nel 1987 propose “architetta”), in analogia a quanto accade, ad esempio, in ambito botanico.
Nella lingua italiana infatti l’albero ha un nome maschile e il frutto un nome femminile: il pero (l’albero), la pera (il frutto); il melo (l’albero), la mela (il frutto); il pesco (l’albero), la pesca (il frutto). L’albero di fichi non segue la regola suddetta; infatti si dice il fico (l’albero) e il fico (il frutto); la fica al femminile ha il significato osceno che tutti conosciamo.
La motivazione di questa eccezione risiede proprio nel fatto che la parola abbia evidenti rimandi volgari, e ciò ha fatto sì che per indicare il frutto si usasse il maschile. Analogamente la parola “architetta” sposta l’attenzione su campi non propriamente professionali: tutti oggi noi conosciamo infatti quanto sia importante il “rimando psicologico” nella scelta del nome di un’attività economica (brand-naming), in ogni iniziativa di successo. Da qui scaturisce la convinzione che sia più appropriato o mantenere l’utilizzo del maschile-non-marcato “architetto” oppure ri-utilizzare la declinazione “architettrice”, femminile dell’arcaico “architettore”.
[6]-[7] Consuelo Lollobrigida, “Plautilla Bricci. Pictura et Architectura Celebris. L’Architettrice del Barocco Romano”. Gangemi, 2017, Monografia dedicata all’artista, scritta dalla storica dell’arte ed esperta di studi di genere.
[8] Melania G. Mazzucco, L'architettrice, Torino, Einaudi, 2019.
[9] "Venezi si fa chiamare 'direttore'? Definizione legittima": la Crusca sulla polemica di Sanremo - Articolo sul sito del quotidiano “HuffingtonPost”. Link alla fonte:
https://www.huffingtonpost.it/entry/venezi-si-fa-chiamare-direttore-definizione-legittima-la-crusca-sulla-polemica-di-sanremo_it_6043cecac5b60208555eee85
[10] Carə tuttə, il linguaggio inclusivo esiste. Perché non usarlo? Intervista alla sociolinguista Vera Gheno pubblicata sul Magazine "The Submarine". Link alla fonte:
https://thesubmarine.it/2020/08/03/schwa-linguaggio-inclusivo-vera-gheno/