Appello alle e agli intellettuali per la libertà di parola contro ogni forma di censura

Appello alle e agli intellettuali per la libertà di parola contro ogni forma di censura

Lanciata
1 giugno 2023
Firme: 1.819Prossimo obiettivo: 2.500
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Perché questa petizione è importante

Lanciata da Claudia Valsania

Possiamo impedire di leggere: ma nel decreto che proibisce la lettura si leggerà pur qualcosa della verità che non vorremmo venisse mai letta…
(Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore)

Nell’Indice della libertà di stampa compilato ogni anno da Reporter senza frontiere l’Iran occupa il 177° posto tra i 180 paesi censiti – superato solo, nell’ordine, da Vietnam, Cina e Corea del Nord. Dal 1979, l’anno della Rivoluzione, e con la nascita del Ministero della cultura e dell’orientamento preposto anche al controllo delle attività culturali del paese nel 1984, la censura risponde a uno sforzo sempre meglio coordinato, sistematico, brutale. Grazie a un registro ufficiale della giustizia iraniana ottenuto nel 2019, Rsf ha rivelato che dal 1979 al 2009 i giornalisti perseguiti, arrestati, detenuti o giustiziati in Iran sono almeno 860 (tra i quali, 218 donne). Solo i casi noti fanno salire oggi i numeri a più di 1000.
Ha due volti, la censura. Sotto l’egida del precetto coranico a «ordinare ciò che è giusto e proibire ciò che è sbagliato», liberamente colpisce ciò che non è ritenuto «in linea con la promozione dei principi della rivoluzione islamica», secondo le parole del responsabile del Dipartimento editoria del Ministero della cultura Mohammad Selgi. Ma il modo in cui la censura agisce in Iran è più arbitrario che libero, perché le leggi che la regolano sono formulate in modo vago, ambiguo, e così lasciano spazio alla manipolazione. La libertà di espressione è accettata, nella Costituzione iraniana, «purché non vengano offesi i principi fondamentali dell’Islam o i diritti della collettività» (art. 24), ma i dettagli di questa eccezione, che secondo l’articolo sarebbero dovuti essere stati precisati da una successiva legge, restano sconosciuti perché questa legge, ad oggi, non esiste. Si ricorda qui che nel febbraio del 2019, in un hangar di Teheran, è stato scoperto un deposito di mezzo milione di libri vietati che vanno da Omero a Orwell a Camus. Altrettanti sono probabilmente i libri che ogni anno cadono nei meandri del sistema censorio e non ne escono, non arrivando mai a pubblicazione. Gli altri, i testi pubblicati, pagano invece quasi sempre il prezzo di assurde restrizioni che si fanno tanto più intransigenti, oggi più di prima, intorno alla donna. Dal 1979 a oggi, le donne iraniane hanno infatti visto cadere l’illusione di avere garantiti, a prescindere dalle vicissitudini politiche, alcuni standard di diritti, di libertà, di emancipazione, e scontano quindi il peso di una censura che le colpisce non solo come autrici, ma nell’immagine stessa che di loro è permesso o meno divulgare. Le privazioni che sotto l’azione deformante della censura le nuove generazioni iraniane sono costrette a subire sono incalcolabili, perché questa sottrae loro la possibilità di conoscere una ricchezza culturale che non è soltanto quella proveniente dall’esterno, ma prima di tutto la propria.
Parallelamente a questo, la censura mira anche alla produzione di un sapere teso a manipolare l’opinione pubblica a favore del potere statale. È il caso paradigmatico della nazionalizzazione di Internet intrapresa dal governo iraniano nel 2013, con l’obiettivo di espandere il controllo sociale regolando i flussi di notizie ma anche di favorire, attraverso le narrazioni che la accompagnano, il consenso a un potere che riconosca il ruolo di primo piano della tecnologia dell’informazione per la modernizzazione del paese. Un paese che vede intanto dissanguate di giorno in giorno le proprie risorse umane e culturali, sprecate dalla lunga e sistematica repressione subita. Con «cultura della censura» non si intende soltanto una cultura difettosa, mutilata, ma una cultura alla quale la censura, privandola delle parole, nega la possibilità di conoscere una realtà diversa da quella imposta dal regime, una cultura che sotto l’influenza prolungata della censura finisce dunque più o meno consapevolmente col riprodurre in sé i meccanismi del potere statale e a perpetrarli.
Su iniziativa di Azam Bahrami, facciamo appello alla responsabilità di scrittrici e scrittori, poete e poeti, traduttrici e traduttori di ogni paese perché indipendentemente dai confini territoriali, culturali e linguistici l’arte diventi oggi uno strumento per sostenere e dare voce alle persone che, in Iran come in Russia, in Afghanistan, in Siria, ovunque la censura dilaghi come l’esito naturale di un potere oppressivo, ogni giorno lottano per la libertà di pensiero e pagano questa libertà con la vita.

Immagine di Leila Rahimian, ispirata alla poesia Un’altra nascita di Forough Farrokhzad.

L'appello è stato originariamente pubblicato sulla rivista letteraria «Argo», a questo link: https://www.argonline.it/donna-vita-liberta-appello-difesa-liberta-parola-pensiero/

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