Il diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro

Il diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro

237 hanno firmato. Arriviamo a 500.
Lanciata
Petizione diretta a
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI e

Perché questa petizione è importante

Lanciata da Luigi Pitton

La mancata sicurezza sul lavoro in Italia ha comportato, nel 2019, ultimo dato disponibile di condizioni lavorative normali pre-pandemia, 1.205 denunce con esito mortale, ulteriori 72.209 infortuni con menomazioni permanenti riconosciuti dall'INAIL e un totale di 12.323.010 giornate di lavoro perse per assenze da infortunio.

La stampa, per un po' commenta i tre morti al giorno e siamo stati tutti colpiti dalle storie di Luana e di Laila e dalle circostanze della loro morte (ricordo anche i meno noti Davide, Marino, Aziz, Carmelo, Ivan, Giovanni e purtroppo tanti altri) ma ben poco sappiamo di quanta sofferenza e di quali problemi ci siano nelle famiglie dei deceduti e degli infortunati gravi.
Anche le analisi fatte sono imprecise, i morti in media non vanno calcolati suddividendoli per i 365 giorni di un anno ma per i giorni lavorati, ovvero per il tempo di esposizione al rischio. Scopriremmo così che i morti, ogni otto ore di lavoro, sono 5 e non 3 con ulteriori 298 persone che contraggono una invalidità permanente. Non so quale reazione possa suscitare in voi venire a conoscenza di questi dati, per me, e spero anche per voi, questo è un prezzo troppo alto pagato da parte degli occupati per ogni giorno di lavoro.

Una conferma che i livelli di rischio siano particolarmente diffusi ci viene dai Rapporti annuali dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, che riporta il tasso di irregolarità delle aziende controllate (oltre 10.000 all'anno) in merito al rispetto della normativa sulla sicurezza del lavoro. Scopriamo che le irregolarità riscontrate erano dell’82% nel 2018, dell’86% nel 2019 e del 79,3% nel 2020. Questi comportamenti indicano che una parte importante dei datori di lavoro sono ancora convinti che la sicurezza sia solo un costo e fanno fatica a capire che la prevenzione degli infortuni sia invece un’occasione per migliorare l’organizzazione del lavoro e la produttività complessiva.

Una informazione positiva, tra le tante negative, è rappresentata dagli esiti della ricerca Accredia-Inail pubblicata agli inizi del 2018. In un confronto tra aziende che hanno adeguato il proprio processo produttivo alle regole dell'accreditamento per la sicurezza, con imprese semplicemente rispettose delle condizioni base previste dalle normative, è emerso che le aziende certificate hanno una riduzione degli infortuni del 16%, e in caso di infortunio, questo è, mediamente nel 40% dei casi, meno grave. Attuare il processo di certificazione è particolarmente efficace soprattutto nei settori che presentano i maggiori livelli di gravità: metalmeccanico; produzione e distribuzione di energia, acqua e gas; trasporti e magazzini; lavorazioni del legno. Settori dove la riduzione delle gravità si attesta tra il 60 ed il 70%.

Non mi risulta che lo Stato o le Regioni o le Province Autonome nei loro bandi di gara, per l'acquisto di beni e servizi, abbiano introdotto qualche vantaggio competitivo per le aziende certificate per la sicurezza, eppure a maggio 2021 c'erano più di 82.000 aziende certificate (qualità, impatto ambientale, ecc.) di cui oltre 8.000 proprio sulla sicurezza (UNI ISO 45.001). Per capire cosa sia in gioco con le procedure di certificazione, proviamo ad applicare i tassi di riduzione agli esiti degli infortuni riconosciuti positivi nel 19 per il solo settore industriale, si sarebbero risparmiati 18.200 infortuni, e negli infortuni comunque successi, si sarebbero salvate 95 vite ed evitati oltre 8.000 incidenti con invalidità permanenti. Non mi sembra troppo poco per chiedere una maggiore attenzione alla salute dei lavoratori.

C’è stata una prima risposta del Governo alle richieste di CGIL CISL UIL con il Decreto-legge 21 0ttobre 2021 n. 146 che prevede il rafforzamento delle competenze dell’Ispettorato Nazionale, l’interconnessione delle banche dati, il blocco delle attività lavorative irregolari fino alla loro regolarizzazione, l’assunzione di nuovi ispettori, la previsione di pene pecuniarie aggiuntive al blocco dell’attività.
Senza entrare nel merito della validità o meno di altre parti previste nel Decreto e delle sue possibili correzioni in sede di conversione in legge, questa impostazione è sufficiente o è solo un primo importante passo ma a cui devono seguirne altri?

C’è bisogno di un cambio di mentalità generale che non può avvenire con le sole modalità dell’aumento dei controlli e delle sanzioni, sono condizioni necessarie, qualche volta indispensabili ma purtroppo non sufficienti per un nuovo approccio di cui abbiamo bisogno per la sicurezza sul lavoro. Dovremmo puntare anche a prevenire gli infortuni e non solo a sanzionarli una volta avvenuti. Va fatto quindi di più, un di più che vuol dire ad esempio istituire un meccanismo premiale per le aziende che vanno oltre la norma con la certificazione e operare per l’affermarsi di una cultura della prevenzione, dalle scuole, al lavoro, alle istituzioni. Prevenire che, essendo perlopiù un atto collettivo, significa: conoscere, partecipare, coinvolgere, proteggere sé stessi e gli altri e quindi cambiare i nostri comportamenti.

Perché oggi una petizione in difesa della salute e della sicurezza nel lavoro nonostante il recente Decreto?

  • Perché al PNRR che attiva investimenti nella costruzione e manutenzione di infrastrutture si affianchi un nuovo piano di prevenzione della salute e sicurezza sul lavoro opportunamente riscritto e potenziato.
  • Perché si eviti il pericolo di un aumento degli incidenti sul lavoro visto che la ripresa economica sperata partirà con aziende che non hanno rinnovato a sufficienza i vecchi macchinari produttivi. Una ricerca di UCIMU sulle aziende italiane attesta che il 48% dei macchinari ha più di 20 anni e il Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 conferma che una delle cause di infortuni evitabili sono l'utilizzo di macchinari e attrezzature di lavoro non conformi ai requisiti minimi di sicurezza.
  • Perché dobbiamo avere una maggiore consapevolezza che gli infortuni sul lavoro continuano ad avere un costo economico sui 45 miliardi all'anno e un costo sociale per disabilità e morti evitabili non quantificabile. Negli ultimi cinque anni il costante calo precedente di incidenti si è trasformato in stagnazione, come effetto dell’aumentata precarietà, dell'assenza di una formazione adeguata e dell'invecchiamento dei lavoratori.
  • Perché nel "Quadro strategico dell'UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021 - 2027", pur riaffermando l'obiettivo "zero vittime" non si notano discontinuità o innovazioni significative con il passato tali da far pensare ad una accelerazione degli standard di sicurezza nei sistemi produttivi europei.

Propongo alcuni elementi che non dovrebbero mancare, insieme ad altri che sono già stati indicati, nel Piano Nazionale per la Prevenzione che va opportunamente integrato e rafforzato nel:

Conoscere: sembrerebbe che la conoscenza del fenomeno infortunistico sia approfondita ma non è così, qualche esempio, nei Rapporti nazionali dell'Ispettorato del lavoro mancano i dati della Sicilia e delle due Province autonome. L'autonomia non può significare anarchia o assenza di una comparazione con il resto del paese, questa stortura va corretta. Ormai da molti anni operano sia i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza aziendali sia quelli territoriali ma non ci sono ricerche che ne attestino l'efficacia e le buone pratiche da diffondere. Altrettanta valutazione va fatta su quali modelli organizzativi e gestionali siano più adatti o quale formazione possa essere più appropriata per il ruolo operativo ricoperto nella gestione della sicurezza.

Completare: il D. Lgs. 81/2008 non è attuato in alcuni aspetti importanti. Ne segnalo alcuni, va attivato Il Fondo di sostegno alla piccola e media impresa e ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali. Lo Stato, trascorso un tempo congruo, dovrebbe intervenire procedendo alla relativa regolamentazione se le parti sociali non riescono a trovare un'intesa. Inoltre, le Regioni e le Province Autonome devono dare il via ai finanziamenti previsti per progetti relativi alla diffusione di soluzioni innovative tecniche o organizzative per la salute e la sicurezza finora non avviati nonostante le evidenti necessità. O ancora, come richiesto dal sindacato, non è stato attivato il sistema di “qualificazione” delle imprese, meglio conosciuto come patente a punti, né le conseguenti condizioni preferenziali per la partecipazione alle gare e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi pubblici.

Ridefinire: vanno fissati degli standard minimi di operatività o LEA degli Ispettorati e delle Unità Operative di Medicina del Lavoro, in capo alle regioni, non in modo generico, così come riportati nell’allegato 1 del DPCM 12 gennaio 2017, ma con obiettivi quantificati e quindi misurabili in rapporto agli occupati, al livello e alla tipologia di infortuni, con standard di dotazione del personale e linee guida per le priorità dei controlli con particolare attenzione alle attività produttive e alle singole mansioni che presentano un tasso di infortunio superiore al 3%. Il non rispetto degli obiettivi dovrebbe portare a interventi di un organismo centrale al fine di ripristinare le condizioni di qualità operativa necessarie al rispetto almeno dei LEA.

Finanziare: dovremmo consentire alle imprese di utilizzare il credito d'imposta, nei cinque anni successivi, per rientrare dall'investimento in sicurezza. I costi dell'ente di certificazione per la sicurezza e i suoi rinnovi vengono recuperati completamente con le conseguenti riduzioni dei premi Inail. Non sono invece al momento recuperabili le spese per adeguare l'organizzazione, i macchinari, le attrezzature e la formazione. I Bandi ISI indetti dall'Inail, in parte a questo scopo, pur incrementati nella dotazione finanziaria, sono del tutto insufficienti per la generalità delle aziende che potrebbero usufruirne. Per attivare il credito d'imposta propongo che l'Italia chieda e ottenga dall'Europa di sospendere, temporaneamente per tutti, per il tempo dei PNRR, le regole sulla concorrenza o aiuti di stato per i soli investimenti sulla sicurezza per consentirne il recupero nella misura del 65% o al 100% se l’adeguamento è agli standard di certificazione. Potrà così essere maggiormente possibile, in particolare per le micro e piccole aziende, andare oltre al rispetto della sola normativa e certificarsi per la sicurezza. Ricordo che le aziende artigiane hanno una media tra il 20/25% in più di infortuni rispetto all'industria.

Produrre e acquistare beni e servizi: Tutti i soggetti economici a partecipazione pubblica dovrebbero, entro un tempo adeguato alla dimensione e alla complessità organizzativa, procedere alla certificazione per la sicurezza. Lo Stato e ogni ente pubblico per l'acquisto di beni e servizi dovrebbero privilegiare in misura significativa i soggetti certificati. Al fine di uniformare i comportamenti andrebbe predisposta una legge nazionale specifica.

Firmare questa petizione ora, significa cercare di creare le condizioni per fare un’ulteriore pressione sulle istituzioni pubbliche, Stato e Regioni, per imprimere una giusta un'accelerazione a quelle attività produttive ancora troppo restie, e in qualche caso inadempienti, nel rispettare la salute e la sicurezza di una parte importante delle persone che vi lavorano. Significa dare forza al cambiamento attraverso la partecipazione di noi cittadini proprio quando i lavoratori sono in piena emergenza lavoro, quindi più indifesi e ricattabili.

Grazie

237 hanno firmato. Arriviamo a 500.